UN PAPA VENUTO DALLA FINE DEL MONDO CHE RIMARRÀ PER SEMPRE ACCANTO A NOI

Roma, 21 Aprile 2025

Sono fermo davanti al computer. Faccio fatica a capire. Le immagini e le parole entrano nella mente.

Papa Francesco è morto.

La Santa Pasqua è appena trascorsa. È lunedì mattina. Pasquetta. La notizia è forte. Incredibile. Di quelle che rimarranno nella storia. Entra nelle nostre case, credenti e non. I telegiornali di tutto il mondo rilanciano all’inverosimile quello che si fa fatica a far proprio.

Non ho voglia, in questo momento, di retorica. La mente torna indietro. Riavvolge il nastro della memoria. Semplicemente. Lievemente, con un sorriso.

L’incontro con il Pontefice. Papa Francesco.

Pochi mesi prima della pandemia del Covid. Pochi mesi prima che il mondo si fermasse.

L’entrata in Vaticano. Sotto il colonnato di San Pietro. La polizia italiana fa il suo lavoro: controlli. L’esigenza di fermare la violenza e la follia del mondo moderno. Stiamo entrando nello Stato più piccolo del mondo: lo Stato del Vaticano. In cinque ci avviamo verso l’edificio di Santa Marta. Poche centinaia di metri da percorrere, circondati dagli edifici della storia. Un breve tragitto. Poi, due uomini della gendarmeria vaticana, alti, imponenti, professionali, all’entrata di Santa Marta. Poche parole, gesti.

Siamo in un salone, neanche tanto grande, al pianterreno. Ci invitano a sederci. Siamo io, giornalista; Luca, ex monaco; l’organizzatore dell’incontro, che ha un rapporto diretto con il Papa di Roma; i suoi genitori, dalla provincia di Treviso; e don Diego, parroco di una delle parrocchie a nord di Roma.

Sono abituato a incontri particolari, è il mio lavoro da più di 50 anni. Stavolta faccio fatica a rendere tutto ciò razionale. Ci provo, ma non ci riesco. Sono realmente emozionato. In fondo, il pensiero che ho gestito per la Rai la giornata dei funerali di Giovanni Paolo II non mi aiuta.

Adesso, seduto nella stanza di Santa Marta, osservo una porta a vetri poco lontano da me. Tra poco vedrò il Papa. L’incontro…

Entra l’uomo vestito di bianco, il successore di San Pietro. Sorridendo. Cammina un po’ a fatica, per via di una gamba che muove male. L’emozione sale ancora. Osservo il suo crocifisso di legno. Un orologio di plastica al polso. Semplici scarpe da ginnastica.

Presentazioni. Papa Francesco è seduto con noi nella sala. Rimane seduto per poco. Non perde il sorriso. Si rivolge ai genitori di Luca: “Scusateci, devo prima parlare con vostro figlio”. È di ritorno dopo alcuni minuti.

Di quell’incontro ho ricordi reali. Come è reale la vita. È come la vita: quell’incontro è stato dirompente, inaspettato. Qualcosa che ti stupisce, che non ti aspettavi. Che rimarrà con te per sempre.

“Lei fa il giornalista. Come si capisce quando una persona dice la verità?” È il Papa di Roma, a distanza di pochi metri, che te lo chiede. Cerco di rispondere.
“Una persona che dice la verità…”
È sempre il Papa a parlare: “Si capisce dagli occhi. Gli occhi non mentono mai”.

Già, è tutto molto semplice. È vero. È il capo del cattolicesimo mondiale. Eppure, la sua forza non è quella. È un’umanità con cui lui entra in contatto.

Si rivolge a Don Diego. Gli sorride, mentre gli dice: “Ma lei sa che io sono il suo principale?”. Scherza. Costruisce ponti, non barriere. Un’ironia formidabile, che non mi aspettavo.

“Ricordatevi degli anziani.”
Si ferma. Chiarisce quello che vuole dire: “A Buenos Aires consigliai a un tassista di far parlare sua figlia adolescente, terribile, con sua nonna. Gli anziani possono dare grandi e buoni consigli”.

Più che un incontro con il Papa, sembrava un confronto con parole ricche del Santo Padre. Ricche di significato, che fanno riflettere. Tra me e me penso che, se dovessi fare un articolo su tutto ciò, il titolo sarebbe:
“LA GRANDEZZA DELLA SEMPLICITÀ”.

Il Papa ha un riguardo particolare nei confronti della mamma di Luca. Una forma di rispetto verso le mamme. Lo fa capire con i gesti, le parole. Tutto in Papa Francesco, in quell’incontro, è frutto della sua vita, della sua storia che si sposa con la fede.

Entra nella stanza un sacerdote. Gli ricorda che tra poco ha un incontro importante, internazionale. Dall’altra parte, stiamo parlando da più di 40 minuti. Il tempo è volato.

Ci alziamo subito. Ma Papa Francesco rimane seduto. Sembra asciugarsi la fronte. Ci dice: “Altri cinque minuti”. Ci rimettiamo seduti. Ha adesso l’aria stanca. Pensierosa. Gli impegni, le paure, le sfide dell’uomo moderno. Le ingiustizie da affrontare. Le guerre.

Tra non molto, quello stesso Papa sarà da solo, in una vuota Piazza San Pietro, a celebrare una messa in piena pandemia. Lo vedranno miliardi di persone nel mondo, chiuse nelle loro case, davanti ai televisori. Impauriti. Papa Francesco, venuto dalla fine del mondo, a fornire l’arma più potente che l’uomo conosca: la forza della fede.

Al termine dell’incontro, accade qualcosa che non mi aspettavo.
In piedi, uno a uno, uscimmo dalla porta della stanza che ci aveva ospitato. Rimasi per ultimo, con il Papa che mi teneva la porta aperta, invitandomi a uscire prima di lui.

Papa Francesco ci ha lasciato. Con la Pasqua di resurrezione appena trascorsa. Ho sentito poco fa il mio amico Luca, la persona che mi ha fatto incontrare per due volte il Santo Padre.
“Ricordati di chiamarlo semplicemente Papa Francesco”, mi disse allora, poco prima dell’incontro.

Parlando adesso con Luca per telefono, ho rivissuto quei momenti. Gli incontri con Papa Francesco. Il suo sorriso. La sua attenzione, mai venuta meno nell’ascoltare.
La sua vita, che si fondeva con la fede, ci donava.
Semplicemente. Umanamente.

L’ex monaco Luca, che con Papa Francesco ha avuto diversi incontri, mi ha detto:
“Sono certo che Papa Francesco ha appena iniziato a lasciare un segno a tutti noi”.
Ha continuato: “Sono sicuro che da lassù continuerà a far frastuono, a far sentire la sua voce”.

Le ultime parole, mentre rivedevo il sorriso di Papa Francesco.

Roberto Milone

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